sabato 24 giugno 2017

Quando l'esibizionismo fa danni

Tutti hanno voglia di raccogliere successi ed elogi, di essere ammirati dagli altri.
Questo desiderio nasce perché cresciamo all'interno di una società fortemente competitiva e sviluppiamo una dipendenza emotiva verso gli elogi dei nostri simili.
Questa continua ricerca di attenzione ed approvazione può spingerci a fare gesti stupidi o privi di senso, o addirittura malvagi, compiuti puramente per un esibizionismo che comporta una necessaria chiusura dell'empatia quanto l'esclusione della razionalità (se riflettessimo, certo non commetteremmo queste azioni per ricevere attenzioni).
Nello specifico ci riferiamo a quegli episodi che possono andare dall'innocuo al dannoso ma che hanno come unico scopo quello di una ricerca di attenzione che nella nostra realtà non riceviamo.
Prendiamo come esempio quei due uomini che lo scorso Marzo hanno fermato a Torino un'ambulanza che viaggiava a sirene accese perchè questa era contromano. I due hanno filmato la loro azione e l'hanno poi condivisa sui social network, forse, anzi sicuramente, aspettandosi degli elogi per aver difeso la legalità ed il rispetto delle norme civili, impedendo il passaggio scorretto del mezzo.
Ecco, quello che i due hanno fatto, senza riflettere sicuramente, ha messo in pericolo la vita del ferito che viaggiava su quel mezzo e che doveva essere trasferito al più presto in un altro ospedale perchè aveva un emorragia epatica (mica sciocchezze eh, qui ci si lascia le penne).
Questo è un perfetto esempio di come il collegamento che abbiamo porti le nostre decisioni a ricadere sugli altri, siano esse buone o cattive.
In questo caso gli utenti del WEB si sono dimostrati indignati da questa azione che ha difatto ostacolato il soccorso di una persona in gravi condizioni.
Quello che volevano però l'hanno senza dubbio ottenuto: hanno avuto attenzione e il loro caso è finito persino in TV.
La vera domanda è: Ne è valsa la pena di mettere a rischio una vita per una bravata? Adesso che hanno ricevuto attenzione a livello nazionale si sentiranno soddisfatti?
Io non credo.
Il mio consiglio resta sempre quello di riflettere bene sulle proprie azioni e di cercare di non danneggiare mai gli altri.

La chiusura della realtà

Tutti gli esseri umani sviluppano nel corso della loro esistenza una propria visione del mondo, dettata in parte dalle proprie esperienze ed in parte dalle informazioni acquisite sia geneticamente che attraverso i comportamenti e dalle parole della propria famiglia.
Questa nostra visione è la fetta di realtà in cui viviamo e si compone sempre più o meno dei soliti elementi che si ripetono ogni giorno e ci danno sicurezza. La nostra realtà è soggettiva ed in quanto tale limitata ad un solo pezzo dell'interezza della realtà assoluta.
Questo meccanismo si mantiene efficente e funzionaole finchè, pur avendo il nostro modo di vedere le cose, cerchiamo esperienze e conoscenze che possano arricchire ed ampliare la nostra visione.
Quello che rischiamo però è, con l'andare del tempo, di radicarci nella nostra visione, rendendola un vero e proprio guscioche ci possa difendere da tutto quello che c'è al di fuori, creando una corazza che con gli anni diventa sempre meno permeabile alle novità.
Quendo questo accade poniamo le nostre convinzioni come metro di giudizio universale e ci perdiamo la visione delle infinite sfaccettature della realtà che ci circonda.
Se per paura ci chiudiamo, ci priviamo di tutte le esperienze, sia belle che brutte, che potrebbero arricchirci.
Si vine a creare così un circolo vizioso dove le cose sono ferme ed immutabili, perdiamo interesse verso i nuovi stimoli e le nuove scoperte che la realtà ci può fornire.
Ci precludiamo da soli tutte le infinite possibilità che l'Universo contiene (la realtà comprende infinite possibilità, sfaccettature e alternative) e , quando queste arrivano a noi, o le respingiamo o non siamo in grado di vederle.
Chiudere la propria realtà è la cosa che più pericolosa che possiamo fare perché impedendo alle cose di scorrere creiamo dei blòocchi energetici che, con il tempo, ci portano ad un indebolimentodella mente al punto di ammalarci (il circuito della Dopamina che cessa la produzione se non abbiamo più stimoli che ci diano gioia).

I nemici dell'uomo di conoscenza

Carlos Castaneda, antropologo e scrittore parla, nel libro "Gli insegnamenti di Don Juan", dei nemici che un uomo di conoscenza incontra sul suo cammino.
Vogliamo condividere questi estratti con voi perché sono veramente molto interessanti, Don Juan spiega con chiarezza concetti molto profondi e complicati che sono però molto attuali per ognuno di noi.
Chiunque decida di aprirsi a nuove possibilità e di cambiare la propria realtà incontrerà, presto o tardi i quattro nemici, che lo metteranno alla prova non per cattiveria ma per spingerlo a crescere.
Questi nemici sono parte di noi, in quanto tali vanno affrontati ed accettati.
Il primo nemico è la PAURA:
 "Imparare non è mai quello che ci si aspetta. Ogni passo dell'imparare è un compito nuovo, e la paura che l'uomo prova comincia a salire implacabilmente, inflessibilmente. Il suo scopo diventa un campo di battaglia. E così si è imbattuto nel primo dei suoi nemici naturali: LA PAURA! Un nemico terribile, traditore, e difficile da superare. Si tiene nascosto a ogni svolta della strada, in agguato, aspettando. E se l'uomo, atterrito dalla sua presenza, fugge, il nemico avrà messo fine alla sua ricerca".
Il secondo nemico è la LUCIDITA':
"A questo punto l'uomo conosce i suoi desideri; sa come soddisfare tali desideri. Può anticipare i nuovi passi dell'imparare, e una limpida lucidità circonda ogni cosa. L'uomo sente che nulla è nascosto. E così ha incontrato il suo secondo nemico: LA LUCIDITA'! Quella lucidità mentale, che è così difficile da ottenere, scaccia la paura, ma acceca anche. Costringe l'uomo a non dubitare mai di se stesso. Gli dà la sicurezza di poter fare tutto quel che gli piace, perché vede chiaramente in tutto. Ed è coraggioso perché è lucido, e non si ferma davanti a nulla perché è lucido. Ma tutto questo è un errore; è come qualcosa di incompleto. Se l'uomo si arrende a questo falso potere, ha ceduto al suo secondo nemico e sarà maldestro nell'imparare. Si affretterà quando dovrà essere paziente, o sarà paziente quando dovrebbe affrettarsi."
Il terzo nemico è il POTERE:
"E così avrà superato il suo secondo nemico, e sarà in una posizione in cui nulla potrà mai nuocergli. Questo non sarà un errore. Non sarà solamente un punto davanti ai suoi occhi. Sarà vero potere. A questo punto saprà che il potere che ha inseguito così a lungo è finalmente suo. Può fare tutto quel che vuole. Il suo alleato è al suo comando. Il suo desiderio è la regola. Vede tutto quel che è intorno a lui. Ma si è anche imbattuto nel terzo dei suoi nemici: IL POTERE! Il potere è il più forte di tutti i nemici. E naturalmente la cosa più facile è arrendersi; dopo tutto, un uomo a questo punto è veramente invincibile. Comanda; comincia col correre rischi calcolati e finisce col creare regole, perché è un padrone. A questo stadio difficilmente l'uomo si rende conto che il nemico lo sta circondando. E improvvisamente, senza saperlo, avrà certamente perduto la battaglia."
Il quarto ed ultimo nemico è la VECCHIAIA:
" L'uomo sarà, ormai, alla fine del suo viaggio di apprendimento, e si imbatterà, quasi senza esserne stato avvertito, nell'ultimo dei suoi nemici: LA VECCHIAIA! Questo nemico è il più crudele di tutti, il solo che non potrà essere sconfitto completamente, ma solo scacciato. Questo è il momento in cui l'uomo non ha più paure, non più un'impaziente lucidità mentale; un momento in cui il suo potere è tutto sotto controllo, ma anche il momento in cui prova un irresistibile desiderio di riposare. Se si arrende totalmente al desiderio di lasciarsi andare e dimenticare, se si adagia nella stanchezza, avrà perduto l'ultimo combattimento, e il suo nemico lo ridurrà a una creatura debole e vecchia. Il suo desiderio di ritirarsi annullerà tutta la sua lucidità, il suo potere, e la sua conoscenza. Ma se l'uomo si spoglia della sua stanchezza, e affronta il proprio destino, può allora essere detto uomo di conoscenza, pur se soltanto per il breve momento in cui riesce a sconfiggere il suo ultimo e invincibile nemico. Quel momento di lucidità, di potere e di conoscenza, è sufficiente."

Quando perseverare non ci fa bene

Ci sono nella nostra vita situazioni che sul momento ci sembrano difficili ed impossibili da risolvere ma che, se continuiamo a tentare con approcci diversi alla fine riusciamo a superare.
Alcune situazioni però sono l'esatto opposto, soprattutto quelle che sono causate da altre persone; ci sono casi in cui non possiamo fare niente per migliorarle perché non dipendono direttamente dal nostro libero arbitrio.
Il cambiamento richiede infatti un dispendio di energie e una grande forza di volontà da parte di chi lo desidera, che spesso da tutto ciò che può per raggiungere lo scopo.
In questo non c'è nulla di male se il cambiamento che vogliamo riguarda noi stessi o una situazione sbagliata che viviamo. Quello che invece spesso succede è che vogliamo aiutare gli altri a risolvere delle LORO situazioni che, in quanto tali, non possono dipendere dal nostro ma dal loro libero arbitrio e dalla loro volontà di cambiamento.
Non sempre chi si lamenta e si dimostra infelice è disposto ad uscire dagli schemi e a fare attivamente degli sofrzi per cambiare. La stabilità infatti, anche se è negativa e dannosa, dà sicurezza.
La nostra prima spinta in queste situazioni, in quanto persone empatiche, è quella di aiutare queste persone, spesso però ci rendiamo conto che alla fine noi facciamo più sforzi della persona direttamente interessata. Questo è uno di quei casi in cui perseverare non fa bene.
Ostinarsi a investire energie nel cambiamento per qualcuno che non ha realmente la voglia di farlo è per noi controproducente e frustrante. E più ci sentiamo frustrati per i nostri sforzi a vuoto e più continuiamo a provarci, investendoci sempre più tempo, energia e volontà.
Alla fine la persona che stiamo provando ad aiutare avrà come beneficio quello di sentire che è importante per qualcuno ma non quello di ottenere il cambiamento che tanto sembrava desiderare perché, se essa ottenesse quello che vuole, poi si preoccuperebbe di perdere l'attenzione di cui la stiamo colmando.
Ecco che si instaura quindi un circolo vizioso dove la lamentela non è dettata dallla reale insoddisfazione che produce la mancanza di cambiamento ma diventa piuttosto una forma di ricerca di attenzioni dall'esterno.
Vi diffido dal perseverare in certe situazioni perchè, finchè saremo noi a fare gran parte del lavoro, queste persone non avranno mai occasione di poter attivamente cambiare la loro vita.
Spesso, se noi ci distacchiamo anche solo un po', sarà la persona stessa a cominciare a prendere iniziative per risolvere i problemi che la affliggono.
Finchè restiamo attaccati ai suoi problemi danneggeremo sia noi che lei perchè la priveremo della possibilità di esercitare il SUO libero arbitrio.

venerdì 16 giugno 2017

Siamo tutti collegati

Come affermavamo in un articolo di poco tempo addietro, l'essere umano è un essere sociale, senza i suoi simili non può vivere.
Da questo ne deriva che esiste un collegamento tra una persona e un'altra. Siamo connessi gli uni agli altri formando una vera e propria rete che si espande all'infinito. Da questi collegamenti possiamo ricavare sia interazioni positive che conseguenze negative.
In conseguenza a queste interconnessioni dobbiamo concludere che le nostre azioni ricadono sugli altri e viceversa. Non possiamo illuderci che le azioni che noi facciamo valgano per noi soltanto, ogni cosa si riflette al nostro esterno causando conseguenze per tutti.
Se queste azioni sono volte a fare del bene, questo porterà benefici a molte persone, lo stesso principio vale anche per le azioni volte a causare danno.
Per chiarie il concetto ecco due esempi, uno di un comportamento positivo e l'altro di uno negativo.
Decido di aiutare un'amica a fare un trasloco. Questa sarà felice di avere qualcuno che la aiuti, risparmierà tempo ed energie che portà usare per compiere altre azioni, magari a sua volta farà qualcosa di buono.
Io nel frattempo ho vissuto una nuova esperienza ed avrò acquisito nuove competenze sul campo dei traslochi: quando toccherà a me saprò meglio come organizzarmi.
Decido di fare un pranzo sul prato del parco. Ho i rifiuti del pranzo tra cui una bottiglia di vetro, mi fa fatica buttarli nel cestino e allora li lancio via; la bottiglia cadendo si rompe.
Passano poco dopo dei bambini che giocano e si tagliano. da quel momento, ogni volta che giocheranno in un prato avranno paura di tagliarsi con i rifiuti e non avranno più la stessa spensieratezza che avevano prima di questo incidente.
In questi due esempi è evidente come la mia azione consapevole iniziale abbia prodotto effetti su ciò che mi circonda e sulle persone che stanno intorno a me.
Siamo tutti collegati, non solo come esseri umani ma in quanto esseri viventi: fanno parte di noi umani, animali, piante e la Terra stessa.
Riflettiamo sulle conseguenze delle nostre azioni prima di compierle, così facendo creeremo una realtà migliore per noi e per il mondo intero.

lunedì 5 giugno 2017

Perché le persone creano gruppi

Possiamo con sicurezza affermare che le prime aggregazioni di esseri umani avvennero per motivi di sopravvivenza . L'essere umano è un essere sociale, tende a creare gruppi per meglio raggiungere gli obbiettivi della sopravvivenza e del progresso.
Se non ci fossiamo raggruppati in comunità non ci sarebbe stata la specializzazione e la divisione dei compiti che hanno portato all'elevazione dello spirito umano attraverso le scienze e le arti.
La società è composta da individui che seguono norme non scritte, che fanno parte della cultura a cui appartengono.
L'appartenenza ad un gruppo ci fa sentire forti e sicuri e, se il gruppo è sano, possiamo al suo interno sviluppare le caratteristiche individuali mantenendo un equilibrio sociale.
Se siamo uniti ad una rete di individui che condivide le nostre idee e i nostri obbiettivi siamo più costruttivi e facciamo maggiori passi nella crescità e nella creatività.
La struttura sociale però è sana solo fin quando rispetta le scelte dei singoli e li aiuta a sviluppare le proprie inclinazioni, altrimenti diviene un organismo limitante della libertà personale ed oppressivo o repressivo.
Per questo è vitale scegliere il proprio gruppo di appartenenza (anche se fuori dalla famiglia di origine)perché esso deve proteggere senza limitare.
La collaborazione nelle questioni di sopravvivenza ci permette di specializzarci in un settore, raccogliendo conoscenze che poi si possono stramettere a tutto il gruppo e condividerle con chiunque le necessiti.
La collaborazione è la vera spinta alla crescita e ad un maggiore benessere.